Daltonico

Out of the office

Che colore vedi? / Giallo / No, è marrone / …

Sarebbe toccato a me continuare la conversazione ma non l’ho mai fatto. I puntini non contano. Mi domando: possibile che non sia mai stato curioso di sapere come è fatto questo giallo di cui tutti parlano? No. Possibile aver creduto di non meritare di sapere? Forse. E così sono passati anni. Puntini su puntini, del giallo nemmeno l’ombra.  Quando incontri qualcuno e le tue risposte somigliano tutte a dei puntini ci sono solo due possibilità: una è che se la persona ha voglia di parlare con te invece di leggere una linea fatta di un milione di puntini, vada via. L’altra è cambiare risposta.

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How to forget

Selfie

Selfie

Fanno dieci anni che sono scappato. Fanno dieci anni che non parlo italiano come si deve. I perché della fuga hanno nomi difficili da elencare. Gli unici giorni in cui sia mai riuscito a riconoscermi sono stati i primi e gli unici posti quelli ancora sconosciuti. L’unica via d’uscita la perdita di memoria. Mezza vita in equilibrio sulla corda di quell’attimo in cui non so se dire ciao o lasciar perdere, mi sono sbagliato. Non lo so quanto mi manca perché non me lo ricordo e nemmeno ricordo so se voglio tornare, se sia mai voluto tornare. Non chiedermi chi ero, solo chi voglio essere.

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Felicità via compleanno

Chi sono?

Chi sono?

La scuole medie, il Liceo, l’Università e tutte le estati in mezzo. Le birre in macchina, gli occhi chiusi dal sedile del passeggero, le corde della chitarra, il suono del pallone che rimbalza dentro una stanza vuota, i viaggi di ritorno in treno senza smettere di piangere, gli esami rubati, le notti al pronto soccorso, i baci negati, quelli concessi, noi 5, l’addio, il lavoro, il primo ritorno. Il romanzo, la moto, le sere in cerca d’amore, il miglior tiramisù di Roma, la notte in commissariato, il festival dei fiori, i mille concerti, la paura, le grida nella notte, la sigaretta appoggiati al cofano della macchina, le bugie, gli abbracci, il telefono che squilla a colazione domenica mattina, l’infinito ritorno dall’aeroporto, lo sguardo da lontano. L’addio. Il suono dei tamburi, i piatti da lavare, la schiena che si rompe, il colore dei baffi, l’ultimo Natale, la partita al parco. Tutto quello che hai mai dato. Così vicino da poterlo toccare. Grazie a tutti.

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Paris

Lui capelli trendy e lei gambe bianchissime si baciamo a Parigi mentre un altro fa la spesa.

Lui capelli trendy e lei gambe bianchissime si baciamo a Parigi mentre un altro fa la spesa.

Quello che sembrava star succedendo a Parigi era che facevi un passo e ti ritrovavi a cadere in buco pieno di caffè, ne facevi un altro e stavi mangiando il cornetto più buono del mondo, ne facevi un altro ancora e il Napoli vinceva uno a zero con la Roma. E tutto sembrava a portata di mano. Dopo aver visto i CHVRCHES dalla prima fila senza aver dovuto spingere via nessuno e quelle salsine strane ma deliziose nel bar scelto a caso iniziavi ad avere il sospetto che fosse il giorno giusto per provarci; tanto per vedere se funzionava. Eri in una fumetteria che leggevi disegni in francese e un secondo più tardi in un supermercato a comprare mozzarella e poi due passi più in là stavi cucinando quiche di porri per i tuoi amici più belli mentre il Napoli segnava il secondo. Quando il sole lasciava il posto alla terza notte a 20 gradi il due di novembre capivi che avresti potuto, forse dovuto saltare uno di quei salti pericolosi, uno di quelli il cui punto di partenza e di arrivo sono persone invece che luoghi. Niente parole prima. Solo uno sguardo: sentire l’importanza di una cosa nel momento stesso in cui accade; per una manciata di secondi essere tutto quello che si è, non solo una parte; belli e disgustosi, terrorizzati e coraggiosi. Uomini e topi. Come quando non sei pronto a dire qualche cosa ma la dici lo stesso e capisci che non sarai mai solo qualsiasi cosa succeda.

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Buon Compleanno a me

Ischia. Castello aragonese

Ischia. Castello aragonese

Scrivi la tua storia parola per parola. La descrizione, più veloce della tua stessa vita. Gli attimi che avanzavano a una velocità prossima allo zero per settimane, mesi, a volte interi anni e le parole che invece si inseguono a perdifiato, non c’è più tempo. Giorno dopo giorno, cambiamenti impercettibili… Che mi racconti? niente, tutto uguale. Non è vero.  Allora trova le differenze tra ieri a oggi. Nessuna differenza. Zero più zero uguale un miliardo. Ok, allora scordiamoci del prima e del dopo e del quando e concentriamoci  su un solo attimo. È lo stesso: per qualcuno sei un raggio di sole, per un altro una spina nel cuore. E guarda che parlo dello stesso identico istante. Ok. Allora perché non decidiamo che sarà una giornata felice, senza l’ombra di una parola. Restiamo a guardare i nostri difetti, montagne di spiccioli in tasche troppo strette e a sorridere di tutto il resto. Di tutto. Il resto.

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Perdersi

Old Sarum. Salisbury

Old Sarum. Salisbury

A un certo punto le lenzuola che dopo ogni caduta s’erano sempre docilmente deformate sotto il peso comune dei nostri corpi facendoci finire l’uno sull’altro a ridere, litigare o piangere per le botte prese smisero di farlo. Come se qualcuno le avesse stese ad asciugare nell’inatteso primo giorno d’un ferocissimo inverno, s’erano irrigidite. Io inciampavo o vi cadevo rovinosamente sopra e quando arrivava il momento di rialzarsi, per la prima volta, ero solo. La piramide capovolta che per tutto quel tempo aveva fatto del suo vertice lì in basso la tana di tutti noi riportava rabbiosamente la sua punta in un cielo per noi irraggiungibile e riconfigurava i suoi lati in modo che ogni caduta allontanasse anziché avvicinare. Improvvisamente per restare uniti serviva uno sforzo dieci volte più grande e iniziava l’interminabile fatica di ridisegnare lo spazio tra noi, inventarsi nuovi modi di dirsi ciao o arrivederci e nuove regole per riuscire a riconoscersi in un mondo spaventosamente più grande. Perdersi era la regola. Eppure…

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Waiting for… Matt Elliott

143831Ascoltavo Only myocardial infarction can break your heart e capivo che era una di quelle cose che senza accorgermene ero lì che aspettavo. Pensavo ai miei giorni nervosi senza perché e pensavo che magari sono le cose che aspetto senza accorgermi. Pensavo che a volte non sono io a nascondermi né l’oggetto d’una mia attesa ma l’attesa stessa. Ed ero lì che decidevo per il mio bene che le attese non vanno perdute; che servono a capire cose che altrimenti è difficile capire. E per questa notte credo possa bastare.

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Il giorno dopo

Malaga. Playa de la Misericordia

Malaga. Playa de la Misericordia

Sotto le luci troppo deboli di una Union Chapel meravigliosamente adatta, la schizofrenica performance di John Darnielle colpisce duro quanto ci si aspettava. La dolorose disfatte, le profonde solitudini e miserie da cui quasi tutti i protagonisti delle sue canzoni sembrano uscire se non indenni almeno vivi, trovano sfogo tra i sorrisi sinceri e le battute scambiate sul placo alla stessa maniera in cui una risata un po’ isterica ma in fondo vera soprende nei secondi successivi a un incidente potenzialmente mortale alla fine del quale ci si accorge di respirare ancora. Eppure ogni volta é solo dopo che l’ultima corda smette di vibrare che la paura di quello che puo’ accadere o forse sta accadendo dentro di noi o invece é giá accaduto tanto tempo fa, svanisce davvero. Fino ad allora ogni pezzo é un proiettile lanciato verso di noi e l’unica alternativa a evitarlo per chi ha voglia di restare ad ascoltare é farsi ferire, consapevoli che la canzone, come il dolore che descrive, presto finirá. Del resto é lo stesso Darnielle che nell’introdurre non mi ricordo piú quale canzone ci dice che il vero dolore, quello con cui é davvero difficile venire a patti é proprio quello che ha un termine. “Preferirei sentirmi dire che staró male per sempre piuttosto che sentirmi dire che staró male per un anno e quattro mesi perché quell’anno e quattro mesi saranno peggiori”

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La pioggia di Londra

Verde

Verde

La pioggia di Londra é troppo leggera per entrarti dentro e nell’aria sembra ondeggiare piú che cadere in picchiata quasi imitasse lo stile delle foglie d’autunno. Le goccioline rotolano su se stesse duemila volte prima di toccarti e invece di disintegrarsi sulla spalla del tuo cappotto nuovo, ci si appoggiano sopra e fanno di quella spalla il loro nuovo cielo, un cielo nero di cui sono le stelle. Tu le guardi, guardi l’incredibile rotonditá che invece di perdersi nell’impatto s’é conservata e senza chiederti com’e’ successo continui a fare quello che stavi facendo ma quando ti giri per tornare a guardarla la goccia non é piú lí.

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Tre anni

Raquel

Raquel

Tre anni fa avevo dentro delle cose fragili e meravigliose che amavo molto ma che avevo molta paura di perdere o di rompere. Era una paura che era stata con me per tanto di quel tempo che m’ero convinto che nessuna di quelle cose avrebbe mai resistito alla presenza di un’altra persona. Poi ho incontrato Raquel e dopo tre anni quelle cose sono ancora lí, fragili e meravigliose come prima d’incontrarla e forse di piú e io le amo ancora, anche se non quanto amo lei. E poi ce n’erano delle altre sempre dentro me che odiavo profondamente, di cui mi vergognavo e di cui in 36 anni non avevo trovato il modo di sbarazzarmi. Oggi non sono sicuro di dove siano finite. Di sicuro non molto lontano ma non piú qui, non piú cosí vicino al mio cuore da fare male. E io sono felice. Per la prima volta.

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